Un Mese Missionario. Ma perchè?
Queste alcune domande per le quali cercherò di creare uno spazio di riflessione e di confronto. L’intento è quello di offrire respiro alla pastorale missionaria che attraversa le nostre comunità ed insieme allargare gli orizzonti dei gruppi missionari, generosi protagonisti di questo servizio.
Le missioni
Sono storia della vita della chiesa. Una storia interessante, un racconto coinvolgente.
Pagine luminose e qualche volta anche tristi, perché comunque affidate alla libertà dell’uomo.
Pagine che vanno lette e rilette per comprendere anche quello che la missione sta vivendo oggi, le sue scelte, priorità ed insieme il suo futuro.
“Il libro della missione” è un patrimonio indiscutibile di vita. Scritto a più mani, racconta una passione generosa che si è fatta carne nell’esperienza concreta di uomini e donne che, mandati dalla chiesa, hanno fatto loro il Vangelo per tutta la vita.
Si accompagnano a questo sforzo diverse provvidenziali realizzazioni: scuole, chiese, dispensari, poste sanitarie insieme a scelte di sostegno quotidiano come la mensa, l’appoggio scolastico, l’assistenza ai malati ed ai disabili. Poi è possibile enumerare tutte le iniziative direttamente legate all’evangelizzazione: la formazione dei catechisti, l’accompagnamento dei ragazzi, i diversi momenti liturgici della comunità. Tutto questo realizza ovunque il tessuto della missione con trame diverse a seconda della cultura, della tradizione, dello stile di vita dei popoli che si incontrano. Ed il volto del Signore Gesù, unico ed insostituibile, si manifesta in tutte le sue sfaccettature e con tutta la sua bellezza.
Affascinante questo mondo che chiamiamo sud rispetto al “nostro” nord e con temerarietà, e forse un po’ di incoscienza, anche: “paesi in via di sviluppo”. Un mondo che ha catalizzato l’attenzione della politica, dell’economia, della cultura e anche della chiesa in tempi e modalità diverse. Un patrimonio di umanità che non è possibile mettere da parte.
Le missioni, dunque, fanno parte della nostra storia.
La missione
Non sto facendo un gioco di parole e non è neppure possibile pensare di risolvere il tutto dicendo che siamo passati al singolare.
La missione, quella che si ispira al Vangelo, è dimensione fondamentale della vita della Chiesa. Non c’è chiesa senza missione e non c’è missione che non sfoci in un esperienza di chiesa.
È sorprendente come la comunità apostolica prenda coscienza del suo essere chiesa proprio quando si sente mandata, quando comincia a vivere la missione, prima in Samaria, dopo l’uccisione di Stefano e la dispersione dei credenti e poi presso i “gentili” nell’incontro di Filippo con eunuco e nella conversione di Cornelio e della sua famiglia ad Antiochia. E nasce la Chiesa.
Potremmo sbizzarrirci nel ritrovare, qua e là, le tracce di un Vangelo incarnato che ha avuto la forza di stravolgere i potenti, risollevare i poveri, sconvolgere intere popolazioni, abitare luoghi nascosti e svelarsi nella libertà di tanti uomini e donne che, nella quotidianità della vita, hanno concretizzato frammenti di fede.
La missione non è finita. Gli scenari della nostra Europa e quelli più vasti del mondo intero interpellano continuamente l’evangelizzazione ed offrono nuovi spazi ed opportunità.
C’è chi dice che ormai “la missione è qui da noi”. Il pullulare di extracomunitari da consistenza a questa affermazione quanto mai inopportuna. Quando a metà degli anni cinquanta del secolo scorso due provocatori pubblicarono un libro dal titolo: “France, pays de mission?”, non fecero altro che guardare con profondità e chiarezza alla situazione di fede che, pian piano, andava manifestandosi.
Secolarizzazione e scristianizzazione hanno un retroterra non indifferente che si perde nel pensiero illuminista e affonda le sue radici in quel movimento rivoluzionario che scosse dapprima la Francia nella rivoluzione e poi via via, anche se in forme diverse e meno cruente, diverse regioni del mondo. Oggi parliamo di indifferenza, superficialità, facciamo spesso i conti con una religione consumistica e con il turismo religioso che si realizza attorno ad eventi sacramentali che hanno più il sapore dello spettacolo che quello del mistero. Uno svuotamento della fede ad apparenza è sempre in agguato. Forse da qui nascono quelle intransigenti campagne a tutela dei simboli religiosi più preoccupate di difendere uno scranno parlamentare od un pulpito ambito, laico o religioso, piuttosto che di ricondurre l’orizzonte della vita all’esperienza di Cristo Signore. Sono le scelte che poi vanno ad impoverire concretamente forti ispirazioni ideologiche. E quella croce, che ha la forza dell’universale, sparisce di fronte ai “barconi della speranza”, all’allontanamento forzato di qualsiasi etnia, allo sfruttamento della povertà e all’imbarbarimento della dignità degli indigenti. Forse in un misticismo inutile si rifugiano le comunità cristiane quando non tengono tra la mani la carità nella costruzione di relazioni autentiche, gratuite e libere; quando la presenza si ammala di protagonismo e all’ultimo posto, di certo senza volontà deliberata, lasciamo che si affacci il bene degli altri e non sempre e solo il nostro.
Il Vangelo ad ogni latitudine e longitudine cerca un unico interlocutore: l’uomo e la sua storia, il desiderio di pienezza che si accompagna ad ogni vita che nasce, la consapevolezza di non aver vissuto invano quando ti accorgi che, seppur lentamente, ma senza sosta le forze vengono meno.
Quanto mai urgente è riproporre la libertà del Vangelo, quanto mai indispensabile tracciare sentieri che realizzino la comprensione della vita alla luce di una proposta eterna, di un senso capace di soddisfare il desiderio di beatitudine.
Le ragioni della missione non sono alla conquista di nuovi adepti, non hanno neppure la pretesa di risolvere il dramma della povertà e dell’indigenza, non si pongono come alternativa ai governi ed all’economia, ma vogliono aprire una strada, indicare una meta, aiutare nella scoperta di un valore fondamentale che attraversa la vita dell’uomo e lo colloca nel pensiero e nel cuore stesso di Dio.
Le provocazioni
È chiaro, dunque, che la missione non ci appartiene, anche solo perché è più grande di noi, perché le nostre forze sono limitate e, molto di più, perchè piena di contraddizioni è la nostra volontà.
Ma della missione, almeno come cristiani, non possiamo fare a meno. Verrebbe a mancare il volto di un’esperienza di fede che è per natura sua estroverso e chiede continuamente di impastarsi con la storia dell’uomo. È li che misura la sua credibilità!
E la missione costa. Qualcuno starà già pensando al risvolto economico che non è davvero indifferente ed è egualmente importante. Il costo più gravoso si misura però sulla vita, perché occorre “imparare” la missione, occorre educare il cuore all’irrompere del Vangelo nella vita.
Quante volte questo impatto ha sconvolto i nostri piani. Ci ha chiesto di prendere posizione. E questo non perché il credente è meglio di altri e vuole tirarsi fuori, non perché immune dallo sbaglio e dal peccato, neppure perché abilitato dalla fede al giudizio, ma solo perché la giustizia, quella che Dio mastica continuamente nelle relazione con l’uomo, non può fare a meno di riferirsi alla fede per modellare la vita stessa del credente.
E sulla giustizia, quella vera, non pochi hanno schiantato la vita. Il passato non è avaro di testimonianze simpatiche ed eloquenti, il presente continua a raccontare storie di questo genere spesso tra l’indifferenza dei credenti stessi.
Di certo è il rumore dell’inutile che atrofizza la possibilità del profondo, allontana gli orizzonti del comprendere e rende immuni da ogni opportunità di riscatto.
Un rumore assordante che attraversa i luoghi più comuni della vita, non disdegna di illudere e circuire, si compiace di avere ai suoi piedi orde di schiavi devoti e riconoscenti.
Tra il rumore si confonde l’intrigo politico che allontana i problemi di un paese intero e riconduce tutto ad un fiume interminabile di parole e promesse che annebbiano la mente e creano divisioni. Ma non dovrebbe l’arte della politica insegnare a vivere insieme, a custodire il bene comune, a difendere i diritti dei più deboli, a realizza un futuro per le giovani generazioni?
Un rumore assordante consegna il monopolio dell’economia alle ragioni di qualche interesse a scapito di un semplice salario. E bisogna far tanto rumore per nascondere facili guadagni di imbonitori e impressionanti ingaggi calcistici.
All’uomo della strada l’illusione di una movida serale e di un posto in chissà quale curva dello stadio. Intanto cresce la disoccupazione, la precarietà ed il numero di quelli che “fuori testa” ci vanno perché un futuro non lo intravvedono proprio più.
Un rumore malizioso insinua ovunque il dubbio, il sospetto, la malafede, tanto che non ci si possa più fidare di nessuno, neppure di quelli di casa, tanto meno di “quelli di chiesa” perché ciascuno nasconde intenzioni cattive e fumose attenzioni.
E nella confusione del rumore non è inutile una ricerca alternativa di senso: questa una provocazione da non perdere.
Da che mondo è mondo le cose vanno pressappoco così, con punte di crisi e momenti di maggiore serenità, ma l’oggi del mondo dipende anche da noi.
L'orizzonte
È la linea di novità sulla quale da sempre si realizza la missione. Ed il paesaggio è necessariamente diverso. Oltre, sempre oltre, vuole condurci lo Spirito del Signore, quello che aleggiava sulle acque e presiedeva alla Sapienza, che prendeva forma e colore nella creazione.
La Giornata Missionaria Mondiale vuole metterci nel cuore la nostalgia di questa novità: il mondo come nel disegno di Dio, come nel suo cuore, nel suo mistero.
È opportuno allora ridirci alcune motivazioni, utili per gli addetti ai lavori, preziose per tutti coloro che sentiranno parlare di missioni, missionari, missionarietà, proprio perché il tutto non si riduca ad un pò di compassione per quei “poveri disgraziati” del terzo mondo, un’offerta, mi auguro comunque significativa, e la coscienza sistemata almeno per un anno ancora.
La missione è espressione di una consapevolezza: il Signore Gesù è fondamentale per la vita. Proprio per questo sento di doverlo comunicare, far conoscere e condividere. C’è una responsabilità di generare alla fede che è propria di chiunque nella fede già vive, di chiunque dalla fede è già stato segnato. È qualcosa che si manifesta a livello personale, nel contesto familiare e degli amici, ed insieme assume rilevanza nell’ambito della comunità parrocchiale e della Chiesa in genere. La fede chiede di diventare testimonianza e questo avviene nell’orizzonte della missione.
Non è casuale che alla ripresa di un anno pastorale proprio la missione ci accolga sull’uscio del tempo che sta per iniziare. A me prete torna l’invito a vivere un ministero a 360° che assume forma concreta nella comunità affidatami, ma che attinge forza ed incisività nella dimensione universale del sacerdozio stesso di Cristo Gesù, in quel “per voi e per tutti” che rende l’Eucaristia davvero servizio all’umanità. Per papà e mamma è immergere ancora una volta il tempo del loro amore in una dimensione più grande di loro, ma che non può fare a meno di loro per dirsi nella stessa modalità di Dio, dal generare al prendersi cura, dal benedire all’accompagnare nella dolcezza del cuore. E poi, via via, i diversi ministeri a servizio della comunità sociale, politica, economica ed ecclesiale. Sì, perché la missione non è “affare” da sagrestia, ma trova il suo habitat nella quotidiana storia dell’uomo intercettando bisogni, attese, speranze, mettendo a disposizione di tutto questo l’annuncio del Vangelo che trova modo di esprimersi in ogni cultura e situazione.
La missione è esperienza di vita:ridotta ad ideologia finisce per essere pericolosa. Ce lo insegna Gesù che cammina per le strade della Palestina annunciando il Regno che “è qui”.
I malati che guariscono, le folle che sono sfamate, i peccatori che trovano pace sono i segni di un Regno che anche oggi si fa spazio spesso tra l’indifferenza e la superficialità. Un mese, quello di ottobre, per ricordarci che la vita di fede non è riconducibile alla banalità di alcuni gesti e riti, ma che gesti e riti assumono tutta la loro rilevanza perché capaci di prendersi cura della vita.
L’impegno dei missionari nel mondo raggiunge spesso contesti e persone che altri rifiutano, si spende per situazioni che sembrano senza ritorno, raggiunge limiti di sopportazione e di accettazione. Non è eroismo, ma testimonianza di fede.
Perché allora l’ottobre missionario?
Per non lasciare che la Chiesa, i suoi ministrie ed i suoi fedeli, assaporino il riposo della conquista dimenticando di essere sempre per strada. È il Vangelo che cammina, prende corpo, interroga la vita, risponde alle attesa, realizza i sogni, sconvolge il potere, restituisce dignità. Il vangelo che la Chiesa, indegnamente, ma con passione offre all’uomo di sempre e per sempre.
In queste ragioni della missione, noi ci mettiamo in gioco!
don Giambattista Boffi
direttore del Centro Missionario Diocesano di Bergamo